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Dallo stress alla sindrome di burnout: cos’è e come prevenire l’esaurimento da lavoro

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Nel 2019, il burnout è stato ufficialmente riconosciuto come sindrome ed elencato nell’International Classification of Disease (ICD), il testo di riferimento globale per tutte le patologie e le condizioni di salute. Ma che cos’è il burnout?
La sindrome di burnout è una condizione psicologica di intenso stress associato al lavoro che, stando allo Stada Health Report ha colpito nel 2022 il 59% degli occupati, in particolare donne e giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni. Questi numeri, in crescita rispetto al passato (basti pensare che nel 2021 la percentuale era del 49%), rendono evidente che i cambiamenti subiti dal mondo del lavoro abbiano notevolmente impattato sulla salute dei lavoratori.
D’altronde, anche la cultura delle persone è cambiata, con nuove generazioni sempre più attente al work-life balance e meno disposte a sacrificare la propria serenità per l’azienda in cui lavorano.

Demotivazione, apatia, difficoltà di concentrazione, irritabilità e ansia sono tutti sintomi di burnout a cui è necessario prestare massima attenzione. Un’attenzione, ben intesi, che è responsabilità non solo dei singoli ma anche dei manager e dell’HR. Il Modulo Sondaggi aiuta a raccogliere dati per risolvere queste problematiche alla radice

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Sindrome di burnout: significato, definizione, storia

Di diretta derivazione dal verbo inglese “to burn out”, il termine burnout si può tradurre in italiano come “bruciarsi” o “esaurirsi”.

Il burnout indica, in psicologia, uno stato di esaurimento emotivo, fisico e mentale associato al lavoro. Secondo la definizione e classificazione proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresenta una forma di stress lavorativo particolarmente intensa, protratta nel tempo e che l’individuo non è in grado di gestire. Questo “fenomeno occupazionale” (non si parla infatti di malattia in senso vero e proprio) colpisce quei lavoratori che non riuscendo ad affrontare il proprio carico di lavoro quotidiano finiscono per soffrire di esaurimento cronico.

Sindrome sempre più comune nei paesi industrializzati, frutto di cambiamenti della qualità del lavoro e dei ritmi sempre più elevati, il burnout si riferisce infatti al solo contesto lavorativo e non alle esperienze in altre aree di vita.

Il termine burnout è comparso per la prima volta nel mondo dello sport attorno agli anni ’30, per indicare l’incapacità di un atleta, ottenuti diversi successi, di mantenere nel tempo gli standard raggiunti.

Più tardi, nel 1975, la psichiatra americana Christina Maslach ha ripreso il termine per definire una sindrome da esaurimento emotivo e fisico risultato dello stress cronico nelle persone che si occupano di altri essere umani, in particolare in stato di difficoltà o sofferenza. Le cosiddette helping profession, insomma, a comprendere medici, infermieri, psicologi, insegnanti, poliziotti e vigili del fuoco.

Secondo questa “accezione” del termine, l’esaurimento da lavoro si definisce quindi come “una perdita di interesse vissuta dall’operatore verso le persone con le quali svolge la propria attività (pazienti, assistiti, clienti, utenti, etc.), una sindrome di esaurimento emozionale, di spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali che può presentarsi in persone che, per professione, sono a contatto e si prendono cura degli altri”.

Con il passare del tempo, nella sindrome di burnout sono state fatte rientrare anche altre categorie di lavoratori a comprendere tutti quei professionisti che, in un modo o nell’altro, hanno un contatto frequente con altre persone, colleghi o clienti che siano. Avvocati e ristoratori, impiegati, manager e così via.

Insomma, ad oggi il rischio di burnout è alto in ogni contesto lavorativo con alte e pressanti condizioni di stress.

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Le cause del burnout

Diversi studi, in particolare quello di Maslach e Leiter (1997), hanno dimostrato che il burnout è da considerarsi un problema del contesto sociale in cui l’individuo opera e non un problema dell’individuo in sé.

Vedremo a breve che, ancora troppo spesso, l’esaurimento da lavoro viene considerata una sindrome strettamente legata all’individuo e che l’individuo stesso ha il compito di prevenire. Niente di più errato, naturalmente: il contesto, il contenuto e la struttura del lavoro influiscono sui livelli di stress e modellano il modo in cui le persone interagiscono tra loro e gestiscono le proprie mansioni.

In particolare, è proprio quando l’ambiente di lavoro non riconosce l’aspetto umano che lo stress patologico e il rischio di burnout si fanno particolarmente alti. Al contempo, è utile tener presente che la sindrome di burnout è più comune in quei contesti in cui esiste un importante divario tra la natura del lavoro e la natura della persona che svolge quel lavoro. Ma quindi, cosa genera il burnout?

Questa sindrome può essere ricondotta a fattori ambientali, associati all’organizzazione del lavoro, fattori relazionali, associati ai rapporti interpersonali con colleghi e superiori, e fattori individuali, a comprendere tutti quegli aspetti legati alla personalità specifica del singolo.

Anche i fattori socio-demografici, d’altro canto, sembrano avere una certa correlazione con l’insorgere della patologia di burnout lavorativo. In particolare, è emerso che alcuni fattori rilevanti sono:

  • Il genere: le donne sono infatti più predisposte a soffrire di esaurimento da lavoro degli uomini;
  • L’età: il dibattito tra gli esperti è in questo caso particolarmente acceso. Per alcuni, l’età avanzata è uno dei principali fattori di rischio mentre per altri sono invece soprattutto i giovani ad essere esposti all’esaurimento da lavoro poiché le loro alte aspettative possono infatti essere stroncate dalla realtà delle organizzazioni lavorative;
  • Stato civile: le persone senza un compagno o compagna stabile sembrano più predisposte a soffrire di questa forma di esaurimento psico-fisico.

Le principali cause associate ad una scarsa struttura organizzativa

Si tenga presente, ad ogni modo, che la distribuzione dei compiti e delle funzioni all’interno di un’organizzazione è importantissima ai fini di prevenire l’esaurimento lavorativo.

Infatti, tra le cause di burnout più diffuse rientrano:

  • Ambiguità di ruolo: scarse informazioni relative alle responsabilità e ai compiti in relazione alla determinata posizione;
  • Conflitto di ruolo: richieste che l’operatore ritiene estranee e incompatibili con il proprio ruolo professionale;
  • Sovraccarico: eccessivo carico di lavoro o di responsabilità che rendono difficile portare avanti una buona prestazione lavorativa;
  • Mancanza di stimoli: attività ripetitive e poco stimolanti;
  • Struttura di potere: impossibilità di prender parte ai processi decisionali relativi all’ambiente di lavoro nel suo complesso;
  • Turnazione lavorativa: orari di lavoro e turni prolungati;
  • Retribuzione inadeguata: percepita tale in relazione al dispendio di ore ed energie.

cause del burnout: un fiammifero è bruciato in mezzo ad altri integri

Riconoscere il burnout: i sintomi

Osservando la sindrome da un punto di vista clinico, i sintomi del burnout richiamano i disturbi tipici dello spettro ansioso-depressivo.

Dal punto di vista fisico, parliamo di sintomi aspecifici come:

  • Mal di testa;
  • Stanchezza cronica;
  • Disturbi del sonno
  • Tensione
  • Disturbi gastrointestinali;
  • Tachicardia

Dal punto di vista psichico, invece:

  • Alta vulnerabilità a delusioni e imprevisti;
  • Insoddisfazione;
  • Senso di vuoto;
  • Aggressività;
  • Calo della fiducia in sé e nelle proprie capacità;
  • Elevata sensibilità allo stress;
  • Resistenza al cambiamento.

Nel complesso, dunque, il burnout genera sintomi aspecifici, somatici e psicologici.

Naturalmente, per quanto sia spesso semplice cogliere il momento in cui il burnout raggiunge il suo picco (magari con eccessi d’ira apparentemente sproporzionati al contesto specifico), molto più difficile è rintracciare tutte le piccole cause che, giorno dopo giorno, possono portare lo stress a dimensioni non più gestibili.

La verità è infatti che il burnout è una sindrome che si manifesta nel tempo presentandosi, inizialmente, come una leggera sensazione di stanchezza e calo di efficienza. È soltanto nella sua fase più acuta, infatti, che l’esaurimento da lavoro dà origine a sintomi più evidenti che a volte si trasformano in debilitanti andando ad interessare anche la vita privata dell’individuo.

Per manager e HR, metriche importanti da monitorare sono quelle dell’assenteismo e del presenzialismo. Il primo è infatti una chiara manifestazione di malessere associata al lavoro, il secondo è invece un fenomeno meno noto ma altrettanto importante, che identifica quei lavoratori che si recano sul posto di lavoro anche quando non sono nelle condizioni adatte per farlo con conseguente perdita di produttività.

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Il test per valutare l’esaurimento da lavoro

Ad oggi, il modello più aggiornato per valutare l’incidenza della sindrome di burnout sul lavoro è l’Organizational Checkup System (OCS) di Michael Leiter e Christina Maslach.

Il primo test nato per misurare il burnout risale al 1981 ed è noto come il Maslach Burnout Inventory (MBI) o Scala di Maslach.

Si tratta di un questionario psicologico composto da 22 domande studiate per misurare 3 dimensioni indipendenti del burnout:

  • L’esaurimento emotivo: la sensazione di inaridimento emotivo rispetto al lavoro;
  • La depersonalizzazione: la risposta impersonale e distaccata nel confronto degli utenti del servizio;
  • La realizzazione personale: la sensazione relativa alla propria competenza e capacità di successo nel lavorare con gli altri.

Questo test è stato originariamente pensato per rivolgersi alle categorie di lavoratori impegnati nei Servizi Socio-Sanitari e nei Servizi Socio-Educativi che, come abbiamo visto, sono state considerate le prima categorie “vittima” della sindrome di burnout.

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La cura per il burnout

In Italia, si stima che l’impatto del burnout sia di circa 240 miliardi di euro l’anno.

Non stupisce, dunque, che alcune organizzazioni abbiano deciso di mettere in atto tutta una serie di strategie di intervento. Nonostante le ricerche abbiano evidenziato il ruolo primario giocato dai fattori situazionali, la maggior parte degli interventi tende a rivolgersi però esclusivamente all’individuo.

Per i lavoratori che soffrono di sindrome da burnout, ecco alcuni accorgimenti:

  • Cambiare modelli di lavoro: magari aggiungendo dei momenti di pausa, evitando il lavoro straordinario ed imparando a creare netti confini tra vita personale e lavorativa;
  • Ottenere supporto sociale: conciliando il lavoro con il resto della propria vita e intensificando le occasioni di incontro sociale;
  • Adottare strategie di rilassamento: dallo yoga alla mindfulness per imparare a rilassarsi anche nei momenti di maggior stress;
  • Richiedere il supporto di un professionista: facendo ricorso a consulenza e terapia specializzata.

Una cosa tuttavia è evidente: per le organizzazioni non è più possibile ignorare il problema né tantomeno relegarlo ad una sfera prettamente individuale. La risoluzione del fenomeno del burnout dovrebbe infatti essere affrontata anche a livello organizzativo, rendendo l’azienda responsabile e consapevole del fenomeno.

Come evidenzia l’articolo pubblicato sulla rivista scientifica World Psychatry, alcuni cercano di trattare il burnout dopo che si è verificato, mentre altri si concentrano su come prevenire il burnout promuovendo il coinvolgimento.

L’importanza della prevenzione

In letteratura ci sono molte strategie per la prevenzione del burnout, la prima certamente quella di puntare sulla promozione dell’impegno nel lavoro aumentando gli aspetti positivi. Un efficace strategia di raccolta dati è il modulo sondaggi

Nel concreto, ci riferiamo a strategie pensate per accrescere l’energia, il coinvolgimento e l’efficacia, sostenendo i singoli individui e permettendo loro di affermarsi sul posto di lavoro intrecciando sane relazioni interpersonali con i colleghi e prendendo parte attiva nei processi decisionali.

Ad esempio, le aziende possono:

  • Organizzare incontri con il personale di diversi livelli per risolvere eventuali conflittualità e fluidificare i rapporti
  • Riorganizzare il lavoro per renderlo più vario e distribuire al meglio i carichi
  • Chiarire gli obiettivi organizzativi e assicurarsi di condividerli in modo chiaro con tutto il team
  • Riconoscere e valorizzare le competenze dei singoli promuovendo una cultura alla formazione e alla crescita
  • Promuovere una sana comunicazione interna
  • Supportare la creazione di un clima relazionale franco e collaborativo in cui sia semplice far circolare le informazioni
  • Adottare un approccio trasparente e una buona giustizia organizzativa
  • Alimentare il senso di appartenenza all’azienda

Per ottenere tutto ciò è utile tener presente che lo stile di leadership adottato dai vertici può fare la differenza. Una leadership positiva, infatti, è in grado di migliorare il clima interno e la cultura organizzativa nel suo complesso.

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Questo articolo è stato scritto da

Federico CarducciCTO di MyNet. La sua passione per la tecnologia lo fa approdare, nel 2013, in Advantage Italia, una delle prime realtà italiane ad occuparsi di campagne di advertising sui social. Gestisce ora in prima persona i rapporti con le aziende e cura la progettazione e lo sviluppo della piattaforma MyNet.

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