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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO): cos’è, quali sono le cause e come funziona il preavviso

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Quando si parla di licenziamento si fa riferimento alla volontà del datore di lavoro di interrompere il rapporto lavorativo con un proprio dipendente. Di tipologie di licenziamento, a dire il vero, ne esistono molte perché molti possono essere i motivi disciplinari all’origine di questa interruzione del rapporto.
Secondo quanto stabilito dall’art.3 della legge 604/1966, il licenziamento può essere intimato anche per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Questo, in poche parole, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Ma che cosa significa “licenziamento per giustificato motivo”? Qual è la differenza tra licenziamento individuale oggettivo e soggettivo? E quali sono, nel concreto, i possibili motivi oggettivi che possono giustificare e sostenere il licenziamento di un lavoratore?

Approfondiamo il tema in questo articolo, dedicato inoltre a presentare i diritti del lavoratore licenziato per giusta causa oggettiva: dal preavviso all’indennità, fino alla possibilità di contestare la validità del licenziamento presso il Giudice del Lavoro.

Cos’è il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il GMO, o licenziamento per giustificato motivo, è una forma di licenziamento che, come visto in apertura, può essere effettuato dal datore di lavoro per motivi e cause connesse alla gestione dell’attività aziendale nel suo complesso.

Parliamo, ad esempio, di situazioni di crisi economica d’impresa o di necessità associate a ristrutturazioni aziendali ed effettivo venir meno delle mansioni a cui è assegnato il lavoratore e l’impossibilità di ricollocarlo in altre mansioni.

Licenziamento oggettivo vs licenziamento soggettivo

Per riuscire a comprendere appieno che cos’è il licenziamento per motivo oggettivo e cogliere le differenze rispetto al licenziamento per motivo soggettivo, è utile qui riprendere ancora una volta l’art. 3 della Legge 15 Luglio 1996, n. 604. Secondo quanto stabilito dall’articolo, il licenziamento per giustificato motivo può essere determinato da inadempimenti degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore e da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al suo regolare funzionamento.

La nostra contempla, insomma, due diverse forme di recesso datoriale:

  • Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo: determinato da un comportamento, da parte del lavoratore, contrario alle obbligazioni derivanti dal contratto;
  • Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: sostenuto da motivazioni attinenti al datore di lavoro o, ad ogni modo, non ascrivibili alla sfera delle responsabilità del lavoratore stesso.

Nel primo caso, insomma, parliamo di licenziamento per motivi disciplinari, come possono essere una protratta assenza ingiustificata del lavoratore, uno scarso rendimento o, ancora, la lesione di un interesse rilevante per il datore di lavoro.

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Cause di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Arrivati a questo punto, non resta che scoprire quali sono le cause concrete che costituiscono un giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Insomma, quali sono i motivi oggettivi che possono sostenere e giustificare un licenziamento di questo tipo?

La risposta a questa domanda è particolarmente importante. Infatti, qualora il licenziamento venisse riconosciuto illegittimo da parte del Legislatore, ne conseguirebbero per il datore di lavoro tutta una serie di ripercussioni economiche e, per il lavoratore ingiustamente licenziato, di tutele.

Dunque, secondo il diritto vigente, i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo sono considerati validi se applicati in situazioni in cui ricorrono contemporaneamente tre requisiti:

  1. Il contratto di lavoro viene recesso per effettive e concrete esigenze aziendali: questo significa che le esigenze aziendali, oltre che essere oggettive, devono essere la causa del licenziamento, non la conseguenza. Ad esempio, la chiusura di un ufficio, di un reparto o la cessazione dell’attività d’impresa costituiscono causa di licenziamento oggettivo;
  2. Esiste un rapporto diretto tra le esigenze aziendali e l’interruzione del rapporto di lavoro: il nesso di causalità tra l’esigenza aziendale e il licenziamento del lavoratore devono essere chiari e netti;
  3. Il lavoratore non può essere ricollocato ad altre mansioni: ovvero è stata accertata l’impossibilità di ricollocare il dipendente in altre mansioni all’interno dell’azienda, compatibili con il suo livello di inquadramento o, se necessario, di livello inferiore (è il cosiddetto repêchage).

Insomma, secondo la Legge, il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo si configura quando il datore di lavoro interviene sulla propria organizzazione, modificandola (a fini economici-tecnici-organizzativi), e le modifiche impattano direttamente sulla posizione del lavoratore interessato, che non può essere ricollocato in posizione diversa all’interno dell’organizzazione stessa. Il difetto di anche uno soltanto dei citati elementi rende il licenziamento ingiustificato.

Con il tempo, si è insomma superato il concetto che legava la legittimità del licenziamento per ragioni economiche solo ed esclusivamente a situazioni di crisi contingente dell’impresa. La ragionevolezza è ad oggi ravvisata anche qualora i cambiamenti organizzativi siano associati a nuovi obiettivi di riorganizzazione, razionalizzazione dei costi e miglioramento dei profitti.

il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: lavoratore con una scatola

Licenziamento individuale oggettivo: la procedura e i diritti del lavoratore

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è ammesso solo ed esclusivamente qualora non esistano ragionevoli alternative. Ai sensi dell’art. 5 della Legge già citata in precedenza, l’onere della prova della sussistenza del motivo oggettivo spetta al datore di lavoro, a cui spetta inoltre l’obbligo di specificare tale motivazione all’interno della comunicazione di licenziamento.
Infatti, secondo la procedura, il licenziamento oggettivo deve essere sempre intimato in forma scritta e garantire al lavoratore il rispetto del preavviso.

D’altronde, è certo utile ricordare che a tutela del lavoratore vittima di licenziamento illegittimo è previsto un articolato sistema sanzionatorio, rivisto più volte nel corso degli anni.

Fino al 2012, l’illegittimità del provvedimento di licenziamento era infatti sempre sanzionata con la condanna del datore id lavoro alla reintegrazione del lavoratore e al risarcimento del danno. Dal 2012, con la riforma del mercato del lavoro, è stata introdotta una nuova disciplina volta a modulare le sanzioni comminabili al datore di lavoro limitando invece la reintegrazione a un novero molto rispetto di casi e ipotesi. Ad oggi, post approvazione del Decreto Legislativo 23/2015 (attuativo della legge delega 183 del 2014 – c.d. Jobs Act), è presente un nuovo regime sanzionatorio, applicabile a tutti i casi di licenziamento illegittimo di lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del decreto.

Le modalità procedurali sono diverse a seconda che il datore occupi un numero di lavoratori computabili superiore o inferiore ai 15 dipendenti e che il licenziamento riguardi lavorati assunti prima o dopo la data del 7 marzo 2015.

Nel caso in cui il datore di lavoro abbia alle proprie dipendenze più di 15 dipendenti nell’ambito della stessa unità produttiva o dello stesso Comune, o più di 60 dipendenti nell’interno territorio nazionale (art. 18 Legge 300/1970) e il lavoratore a cui si applica il licenziamento è stato assunto prima del 7 marzo 2015, l’azienda è obbligata ad attivare la “procedura di conciliazione” (art. 7, Legge 604/1966) davanti alla commissione di conciliazione presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Qualora invece le dimensioni dell’azienda non superino quanto previsto dall’art. 18 Legge 300/1970 e il dipendente sia stato assunto dopo la data del 7 marzo 2015, al datore di lavoro sarà invece sufficiente inviare la comunicazione di licenziamento contenente i motivi e il periodo di preavviso al lavoratore.

Al lavoratore licenziato per giustificato motivi spettano, di diritto, la ricezione del TFR (Trattamento di Fine rapporto) e la disoccupazione.

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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: il preavviso

Le imprese che superano i requisiti dimensionali e desiderano procedere con il licenziamento di un lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015, dovranno insomma attivare il procedimento di conciliazione presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro.

Ciò significa che al datore di lavoro spetta comunicare preventivamente all’Ispettorato e al lavoratore l’intenzione di procedere con il licenziamento, giustificato da precise e dichiarate motivazioni.
A questo punto, l’Ispettorato ha 7 giorni per poter convocare le parti per la conciliazione, che si conclude entro 20 giorni dalla ricezione della comunicazione.
Nel caso in cui la conciliazione non giungesse a buon fine (o le parti non venissero convocate), al datore di lavoro viene concessa la possibilità di procedere con il licenziamento.

Diversa la situazione per tutte le altre ipotesi, non essendo infatti necessaria la procedura di conciliazione. In questi casi, infatti, il datore di lavoro può decidere di offrire al lavoratore entro 60 giorni dal licenziamento (art. 6, del D.Lgs. 23/2015), in sede sindacale o presso altra commissione, la liquidazione.

L’indennità per la disoccupazione: Naspi

L’indennità per disoccupazione introdotta per tutti gli eventi di disoccupazione involontaria, la Naspi, spetta di diritto a tutti i lavoratori che hanno appunto perso l’impiego involontariamente.

Questo si applica, naturalmente, anche ai lavoratori che hanno subito un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Per accedere alla Naspi, tuttavia, è necessario vengano rispettati tre requisiti:

  • Perdita involontaria del lavoro: la Naspi, infatti, non spetta in caso di dimissioni volontarie e di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro;
  • Requisito contributivo: all’INPS devono essere state versate almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti la perdita involontaria del lavoro;
  • Requisito lavorativo: il lavoratore deve aver lavorato almeno 30 giorni effettivi negli ultimi 12 mesi precedenti lo stato di disoccupazione.

Questo articolo è stato scritto da

Manuele CeschiaCEO di MyNet. Laureato in Economia e da sempre impegnato nel settore del marketing, della comunicazione e dell’organizzazione di eventi, si occupa dello sviluppo del progetto MyNet supportando il lavoro di tutti i team. Collabora con Università e Centri di formazione per condividere la sua esperienza professionale.

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