Diritto alla disconnessione: la legge in Italia e il lavoro in smart working
Introduciamo questo articolo con una domanda fondamentale: se possiamo essere rintracciati in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento dal nostro datore attraverso e-mail, chiamate, messaggi e quant’altro, quando finisce davvero l’orario di lavoro? Una domanda, questa, che merita una seria riflessione e che, più che una risposta, ha portato con sé altri interrogativi a cui cercheremo di rispondere in questo articolo. Cos’è il diritto alla disconnessione e che cosa ne dice la legge in Italia? In un momento storico (e del lavoro) in cui lo smart working interessa in modo diretto un numero sempre maggiore di persone, considerare le implicazioni di una connessione perenne con il lavoro è quanto mai necessario. Scopriamone di più.
Mondo del lavoro e diritto alla disconnessione
Stando al report Digital 2020 di We are Social e Hootsuite, che abbiamo citato qui, 4.5 miliardi di persone usano internet. In Italia, gli smartphone sono 80 milioni a fronte di una popolazione di 60 milioni. Se una cosa è certa, quindi, è che l’essere sempre connessioni al giorno d’oggi non è più un problema. Che sia attraverso tablet, pc o smartphone, accedere alla rete e comunicare è un’operazione semplicissima.
Il mondo del lavoro si è ovviamente ben adeguato ai tempi, digitalizzandosi e aprendosi a nuovi modi di raggiungere i dipendenti, utilizzando proprio quei dispositivi che le persone già impiegano a fini privati (o, in alcuni casi, dotando il personale di strumenti tecnologi aziendali).
Se questa incredibile possibilità di connettersi e comunicare in tempo reale con responsabili e colleghi rappresenta un significativo vantaggio nella semplificazione delle operatività quotidiane, si pensi al tempo risparmiato nel recuperare documenti aziendali accedendo al materiale direttamente dalla rete o comunicando con i colleghi, esiste un altrettanto significativo svantaggio che porta con sé gravi danni psichici e fisici: l’iper-connessione. In ambito lavorativo, infatti, essere sempre facilmente reperibili e la possibilità di incorrere nel sovraccarico di informazioni costringono le persone, dai manager ai dipendenti, in un limbo che non è né strettamente vita lavorativa né strettamente vita privata.
Proprio per affrontare questa situazione, sempre più paesi stanno emanando normative con cui favorire, supportare e garantire la tutela del diritto alla disconnessione dei lavoratori.
Diritto alla disconnessione: definizione
Ma che cos’è il diritto alla disconnessione? Si tratta, nel complesso, del diritto del lavoratore di dimenticare completamente la propria sfera lavorativa per potersi dedicare a quella privata. Significa, insomma, non ricevere e-mail, chiamate, messaggi o qualsiasi altra forma di contatto per comunicazioni di lavoro oltre l’orario lavorativo previsto da contratto. Per utilizzare una metafora tecnologica, possiamo dare all’espressione diritto alla disconnessione la definizione di: libertà di “staccare la spina”.
Le ragioni alla base dell’iper-connessione possono essere varie. Spesso i dipendenti percepiscono una forte pressione da parte dei manager e, nel tentativo di evitare in qualsiasi modo di apparire poco impegnati nel lavoro ed essere quindi penalizzati rispetto ai colleghi sempre connessi, finiscono col rispondere alle comunicazioni durante il proprio tempo libero, i weekend, le vacanze o persino durante la notte. Che si tratti di una pressione reale o meramente percepita, il risultato è il medesimo: i periodi di riposo si trasformano in momenti in cui, volenti o nolenti, impegnarsi in ulteriori attività di lavoro.
Il diritto alla disconnessione implica quindi il diritto alla non reperibilità dei lavoratori oltre l’orario di lavoro e, al contempo, il diritto di non essere penalizzati per aver “staccato la spina” durante le ore di riposo.
L’iper-connessione? Si traduce in minor produttività
Il diritto alla non reperibilità assume enorme importanza per i lavoratori in smart working che, proprio per la forma del lavoro agile, hanno statisticamente il doppio delle probabilità di lavorare più dell’orario massimo lavorativo stabilito. L’iper-connessione, che rende di fatto inesistente il confine tra vita professionale e privata, porta con sé inevitabili e gravi rischi per la salute sia fisica sia psicologica dei lavoratori. Diversi studi hanno infatti confermato che un mancato equilibrio nell’alternanza tra pausa e lavoro, e un costante impegno mentale, possono essere molto nocivi per la salute e impattano negativamente sulla produttività delle persone secondo uno “schema” del tutto simile a quello che abbiamo visto associato allo stress lavoro-correlato.
Tra i rischi dell’iper-connessione troviamo:
- Ridotta capacità di concentrazione;
- Sovraccarico cognitivo ed emotivo;
- Emicranie;
- Affaticamento degli occhi;
- Stanchezza cronica;
- Disturbo del sonno;
- Ansia
- Indebolimento dell’apparato muscolo-scheletrico
- Burnout
In Francia il primo passo verso il diritto alla non reperibilità dei lavoratori
Il primo paese ad aver introdotto una legge sul diritto alla disconnessione è stata la Francia. Nel 2016, all’interno della Loi du Travail, è stato infatti introdotto un nuovo obbligo per le aziende con un personale superiore alle 50 persone; quello di introdurre nel contratto aziendale una chiara regolamentazione dell’orario di lavoro e di riposo del dipendente e il conseguente diritto del singolo di disconnettersi al di fuori dell’orario stabilito.
Nonostante questa legge dimostri l’interesse verso la questione, non può essere osservato che il legislatore non ha associato al mancato rispetto del diritto di disconnessione alcun tipo di sanzione.
Attualmente, sempre più paesi stanno considerando di integrare questo diritto alla non reperibilità nel proprio ordinamento aggiungendosi all’Italia, che l’ha fatto nel 2017, e alla Spagna (2018).
Smart working e diritto alla disconnessione in Italia
La storia del diritto alla disconnessione in Italia comincia con la legge 81/2017, chiamata comunemente anche come “legge sullo smart working” poiché nata con l’obiettivo di disciplinare il lavoro agile. Seppur non parlando mai concretamente di diritto, l’art. 19 specifica che l’accordo di smart working deve contenere “misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche del lavoro” durante le ore di riposo e tempo libero, necessariamente da definire da contratto. Insomma, questo primo accenno al diritto alla disconnessione si basava sulla negoziazione individuale tra lavoratore e datore, situazione che nella pratica non limitava con efficienza l’ovvio potere di comando del datore di lavoro.
La legge 81/2017 sul diritto alla disconnessione in Italia, in ogni caso, si dedicava a disciplinare il lavoro agile e si applicava quindi ai lavoratori in smart working e non, invece, a quelli di altre categorie.
Il tema del diritto alla disconnessione in Italia è stato tuttavia preso in grande considerazione da diverse realtà aziendali, da alcuni colossi bancari a società alimentari, che in autonomia hanno deciso di tutelare questo diritto dei propri dipendenti inserendolo nei contratti come parte integrante della policy aziendale o risultato di contrattazione sindacale.
Che l’emergenza Coronavirus, che ha portato il 37% dei lavoratori dell’UE a svolgere il proprio lavoro in smart working durante il lockdown, abbia risollevato il problema e possa quindi riaprire le porte ad un’ulteriore discussione di legge a proposito di questo diritto?
Stando alla recente posizione presa dal Parlamento Europeo (21 gennaio 2021), che ha invitato gli Stati Membri dell’Unione a riconoscere come fondamentale il diritto alla disconnessione, pare proprio di sì.
La nuova normativa in Italia
Come abbiamo anticipato, il Parlamento Europeo si è espresso sul tema nel 2021 allineandosi alla posizione presa nel maggio 2020 dal presidente del Garante per la protezione dei dati personali Antonello Soro. A proposito delle “ricadute occupazionali dell’epidemia d Covid-19”, Soro aveva infatti affermato di dover considerare quanto mai necessario garantire ai lavoratori il diritto alla non reperibilità. L’iper-connessione tipica del mondo del lavoro attuale è stata in quell’occasione presentata come il vanificarsi “di alcune delle più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale”. Un diritto alla disconnessione, quello del Garante della Privacy, che combacia con la prevenzione di qualsiasi eccesso nell’utilizzo del potere di controllo da parte del datore, abuso quanto mai semplice grazie alle nuove tecnologie digitali che permettono di monitorare le attività dei singoli.
In Italia, è con la legge 6 maggio 2021 n. 61 (di conversione del DL n.30 del 13 marzo 2021) che si riconosce per la prima volta ed in maniera chiara ed esplicita il diritto alla disconnessione per i lavoratori in smart working. La legge riconosce “al lavoratore che svolge l’attività in modalità agile il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati. L’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.
Frase, questa in chiusura, che arricchisce la legge sul diritto alla disconnessione non solo liberando il lavoratore dalla necessità di essere reperibile durante le ore di concordato riposo ma definendo anche l’impossibilità per il datore di sanzionare il lavoratore che esercita il proprio diritto.
Verso una nuova cultura del lavoro?
La maggior parte degli Stati Membri dell’Unione Europea ha attualmente regolamentato lo smart working ma soltanto l’Italia, la Francia, il Belgio e la Spagna hanno riconosciuto il diritto alla disconnessione.
Ciò che appare evidente è che la discussione su questo diritto dei lavoratori ha ripreso corpo, anche e forse soprattutto per via dell’emergenza Covid.
Per riuscire a garantire alle persone una vita equilibrata, in cui sfera privata e sfera professionale possano entrambe svolgersi al meglio, è necessaria prima di tutto una nuova cultura del lavoro. Una cultura del lavoro che metta le persone davvero al centro, che consideri le Risorse Umane delle risorse preziose che, in quanto tali, necessitano di attenzione, rispetto e tempi privati e di riposo. Non si tratta meramente di rispettare un obbligo di legge quanto comprendere che è solo garantendo alle persone tutto questo per aziende e manager sarà possibile dotarsi di personale motivato, attivo e produttivo.
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