Agevolare il cambiamento: come riconoscere il momento e coglierlo al volo – con Mirko Frigerio
Durante uno degli appuntamenti dei Visionary HR Talks, ho avuto il piacere di chiacchierare con Priel Korenfeld e Mirko Frigerio, fondatore e Vicepresidente esecutivo di NPLs Re Solutions e docente universitario presso l’Università di Torino. Il tema dell’incontro è stato il cambiamento: come riconoscere quando la situazione attuale non è più sostenibile e, soprattutto, come prendere il coraggio per affrontare la novità (e farlo magari con il sorriso)? Perché la resistenza al cambiamento è un tema che si applica sia alle singole persone sia alle aziende che nel loro complesso non sono altro che organismi, sebbene più ampi e articolati, rispetto al singolo individuo. Ma le dinamiche che si presentano, e il desiderio di proteggersi e fuggire da ciò che è ignoto e perciò spaventoso, sono le stesse.
Secondo l’esperienza di Mirko, per riuscire a non accontentarsi mai e ad abbracciare il cambiamento come qualcosa di positivo la soluzione è solo una: chiedersi ogni giorno “qual è il tuo obiettivo?”
Dal mondo real estate al recupero crediti: la storia di Mirko Frigerio
Per affrontare la puntata dell’HR Talks sul cambiamento, non ho potuto fare a meno di rivolgermi a Mirko Frigerio, un professionista, un professore ma soprattutto un uomo che ha saputo cogliere dalla vita i segnali giusti al momento giusto, accogliendo il cambiamento con la consapevolezza di chi sa che nella vita tutto accade per una ragione.
Attualmente Vicepresidente esecutivo di NPLs Re Solution, società di assistenza per recupero crediti deteriorati (NPL), Mirko ha un’esperienza ventennale nel settore sebbene i suoi esordi siano molto lontani da questa realtà.
Proveniente da una formazione tecnica, nel 1997 Mirko è entrato ufficialmente nel mondo del retail in qualità di agente vivendo quella che è stata la terribile crisi del settore immobiliare del 2008, frutto del (troppo facile) accesso al credito e al seguente iper-indebitamento. Una situazione, questa, che ha messo in serie difficoltà le sue 7 agenzie immobiliari costringendolo a fare i conti con la possibilità del fallimento.
Di momenti come questi, gli imprenditori ne vivono moltissimi. La strada intrapresa sembra garantire risultati continui, eppure all’improvviso succede qualcosa che sconvolge le dinamiche, le posizioni e i giochi di forza ed ecco che continuare “come si è sempre fatto” non funziona più. E la cosa interessante è che a segnalare che non funziona più ci pensa il corpo, che comincia a lanciare segnali chiari di malessere: mancanza di sonno (la mia, primo sintomo del mio bisogno di rivoluzionare le cose), nausea (quella di Mirko), ma anche irritabilità, demotivazione e molto altro.
Durante la sua attività in qualità di agente immobiliare, nel 2003 Mirko è letteralmente “inciampato” (così ama dire), nel mondo della gestione di recupero crediti. Un caso, semplicemente nato dalla richiesta di un cliente di aiutarlo a gestire un recupero crediti associato ad un immobile pignorato. Quello scontro-incontro con il settore del recupero crediti si è presto trasformato in un sincero interesse, portato avanti con cura e dedizione anche grazie a corsi di formazione ad hoc di tipo giuridico, per apprendere le materie specifiche come il diritto fallimentare, le esecuzioni immobiliari e lo stesso Codice di Procedura Civile. Tutto ciò gli ha permesso di diventare ufficialmente un agente sul territorio, per nome di una banca, per il recupero crediti senza costringerlo tuttavia ad abbandonare la sua professione “originaria”.
Ecco perché la netta sensazione di dover intraprendere un cambiamento e di dover reagire ad una situazione di malessere hanno portato Mirko a scegliere di lanciarsi con tutto sé stesso nel mondo del recupero crediti a partire dal 2010, scelta che da lì a un anno l’ha poi portato a lasciare la provincia bergamasca per trasferirsi a Milano.
Il secondo cambiamento vissuto da Mirko è stato frutto, un po’ come per tutti, del Covid e del suo impatto sul suo lavoro. L’approdo nel mondo del recupero crediti, d’altronde, ha rappresentato per Mirko sin dall’inizio una sfida: quella di eliminare dall’immaginario comune la figura dell’agente minaccioso e rivoluzionare l’intera attività per impattare davvero sul mondo del recupero crediti (e che Mirko ci sia riuscito lo dimostra, per fare solo un esempio, il progetto 100 case).
Dalla consapevolezza che rimanere fermi non aiuta a crescere e che accettare il cambiamento non è solo salutare ma necessario alla sopravvivenza, ancora una volta Mirko ha deciso di lanciarsi alla ricerca di soluzioni alternative per l’ideazione di nuovi sistemi di recupero, strategie e strumenti dedicati che, ad oggi, l’hanno reso il punto di riferimento nella gestione proattiva degli NPL e degli NPE.
(Ti consiglio di approfondire i temi dando un’occhiata all’articolo dedicato alla piramide dei bisogni di Maslow).
La resistenza al cambiamento: cos’è e come funziona la paura di cambiare
Quel che mi è sembrato chiaro dall’esperienza di Mirko, dalla mia e delle moltissime persone con cui mi interfaccio ogni giorno, fuori e dentro alle aziende, è che le grandi occasioni sono spesso incidenti di percorso. O, ancor meglio, che le grandi occasioni sono il frutto del coraggio di cambiare, di affrontare la fatica del cambiamento per accogliere il nuovo e trarne il meglio.
Ma che cos’è nel concreto la resistenza al cambiamento? Quella paura cioè che rende difficile affrontare le novità?
La resistenza al cambiamento può essere intesa a tutti gli effetti come una naturale reazione umana al senso di pericolo. La quotidianità stessa ci insegna che il corpo, in modi e intensità diverse di persona in persona, ci segnala l’esistenza di un pericolo facendo scattare in noi l’esigenza di proteggerci, chiuderci in noi stessi e fuggire. Fuggire, ben intesi, per rifugiarci in una situazione che, per quanto non idillica, conosciamo e ci appare familiare, sicura.
Abbiamo parlato di persone, certo, ma lo stesso si applica alle aziende, essendo queste nient’altro che organismi, sebbene più complessi e articolati del singolo individuo.
La questione è in effetti semplice: il cambiamento è un’incognita e un’incertezza che porta con sé il rischio del fallimento. È il classico “abbiamo sempre fatto così” in cui si rifugiano moltissime persone e aziende, nella convinzione che quanto fatto finora, avendo se non altro permesso di raggiungere la situazione attuale, sia sufficiente per sopravvivere. In un certo senso, la possibilità che il cambiamento possa portare conseguenze positive (e quanto possano essere positive l’abbiamo visto con Mirko ma di casi simili ce ne sono molti), è sempre meno forte del timore del fallimento.
I meccanismi di difesa che entrano in moto per proteggerci dall’ignoto cozzano però con i segnali messi in atto dal nostro stesso corpo. Portando queste conoscenze in azienda, basti pensare al fenomeno delle grandi dimissioni che, in fondo, non sono altro che un chiaro sintomo di malessere e di bisogno di cambiamento. Il punto è che la resistenza al cambiamento non è sostenibile. È il corpo stesso, prima o poi, a ribellarsi.
Approfondisci pure l’argomento in questo articolo sullo stess-lavoro correlato.
La sicurezza psicologica per affrontare il cambiamento
Ma come fare, quindi, a riconoscere la resistenza al cambiamento in quanto tale e a superarla? Un interessante libro suggerito dal nostro Pier Korenfeld (Organizzazioni senza paura di Amy C. Edmondson edito da FrancoAngeli) sottolinea l’importanza della sicurezza psicologica.
La sicurezza psicologica è una condizione psicologica in cui il singolo, o l’organizzazione che sia, riconosce con certezza le proprie qualità e il proprio valore, senza temere che questo venga intaccato dal cambiamento e dall’eventuale fallimento che potrebbe derivarne. Possiamo intenderla, in un certo senso, come una vera e propria consapevolezza di sé e del proprio valore intrinseco che può aiutare ad affrontare al meglio i cambiamenti.
In effetti, dietro alla resistenza al cambiamento spesso c’è proprio la paura di fallire. Eppure, un gioco ormai senza tempo come il Monopoli dovrebbe averci insegnato che fallimento e successo sono due concetti meno netti di quel che appare, perché in fondo ogni giro di tabellone è un momento a sé e un “fallimento” non incide sulla possibilità di “successo”, che potrebbe trovarsi semplicemente qualche casella più in là, magari dopo uno stop forzato in prigione.
Come gestire i passaggi generazionali in azienda
Tra i vari argomenti che abbiamo affrontato durante il nostro HR Talk, ho provato a confrontarmi con Pier e Mirko a proposito di alcune classiche situazioni aziendali. Un esempio? Il tradizionale passaggio generazionale vissuto da moltissime aziende italiane che spesso crea situazioni complesse non solo per le persone direttamente coinvolte, ma anche per l’azienda nel suo complesso.
Gestire questo tipo di cambiamento non è mai semplice e richiede principalmente un confronto diretto e sincero tra la generazione in uscita e quella che prenderà le redini dell’impresa con l’obiettivo di definire il percorso da intraprendere. Certo, tutto sarebbe più semplice nel caso in cui a capo dell’azienda vi fosse un organo amministrativo, magari con i poteri per poter decidere di affidare l’azienda ad alcuni commerciali.
Ma se così non è, l’unica soluzione per abbracciare il cambiamento richiede di tenere a mente una cosa principale: l’obiettivo dovrebbe essere sempre quello di rendere l’azienda una realtà autonoma, capace di resistere a (si spera) numerosi passaggi generazionali! Quindi non resta che capire e definire: quali sono gli step necessari per fare in modo che la realtà continui a crescere?
Molto spesso, i cambiamenti sono invece il frutto della consapevolezza aziendale che ciò che viene offerto al pubblico non è più al passo con i tempi. Succede, per fare un esempio, a moltissime società di consulenza che scoprono, quando ormai è troppo tardi, di aver perso la propria posizione sul mercato. In questo caso, come fare ad abbracciare il cambiamento?
Per Mirko e Priel la soluzione è chiara. Prima di tutto, valorizzando ciò che può essere valorizzato e eliminando ciò che è obsoleto ma soprattutto sperimentando, magari riservando una parte di budget ad attività di marketing di validazione del mercato e customer discovery. E poi, (mia aggiunta personale, che fatico a non sottolineare l’importanza delle persone all’interno dei contesti aziendali), valorizzando i singoli. Perché la verità è che proprio le persone potrebbero rivelarsi il driver fondamentale per l’avvio di un vero e proprio cambiamento positivo.
Conoscere l’obiettivo per accettare il cambiamento
Come abbiamo visto fin qui, e provato sulla nostra pelle più e più volte, il cambiamento è faticoso. Non possiamo nasconderlo. E come può una realtà decidere di dedicare sforzi ed energie al cambiamento quando magari non ne coglie appieno neanche le vere necessità? Perché cambiare, in poche parole, quando “in fondo, non si sta così male?”. Per aiutarti, ecco quali sono le domande che dovresti porti quando senti la necessità di riconsiderare la tua posizione:
- Qual è il tuo obiettivo? : avere una meta a lungo e breve termine ti sarà fondamentale per capire quando arriva il momento di abbracciare il cambiamento. D’altronde, facendo dell’obiettivo la tua bussola, difficilmente riuscirai ad accontentarti di una situazione meramente “comoda” e ti sarà più facile percepire il mondo come un incredibile contenitore di occasioni;
- Qual è la tua paura più grande? : riconoscere l’origine della resistenza al cambiamento è fondamentale per riuscire a fare dei passi in avanti. Che cosa temi di perdere? Rispondendo con sincerità potrai aumentare (ed allenare) la tua sicurezza psicologica ed imparare ad affrontare i cambiamenti con più serenità.
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