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conflitto aziendale: immagine di due dipendenti che fanno a braccio di ferro

I conflitti in azienda: come gestirli per trasformarli in alleati – con Ilaria Magagna

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In una delle puntate dei Visionary HR Talks abbiamo avuto il piacere di incontrare Ilaria Magagna, co-fondatrice e facilitatrice di TARA Facilitazione per parlare di come si possono gestire i conflitti in azienda per trasformarli da momenti di tensione ingovernabile a momenti di crescita e confronto. Perché una cosa è certa: se il conflitto nasce dalla diversità, e la diversità è alla base dell’innovazione e della creatività a cui tutte le aziende puntano oggi, non resta che trovare nuovi modi per aiutare persone e sistemi a trovare un punto d’incontro. In poche parole? Trasformare il conflitto in alleato.
In questo articolo, seguendo le parole di Ilaria Magagna, capiremo cosa c’è alla base di ogni conflitto aziendale e approfondiremo alcune piccole pratiche che possono essere messe in atto sin da subito per prevenire i conflitti e per gestirli al meglio quando invece sono inevitabili. “Noi facilitatrici di TARA”, ci ha raccontato Ilaria, “mettiamo in campo competenze e attitudini diverse per aiutare le imprese a gestire i conflitti, e lo facciamo prestando attenzione alle persone che compongono i team, ai processi che caratterizzano l’azienda e agli obiettivi del business. Perché sappiamo che tutti questi tre elementi sono in relazione e solo affrontandoli insieme diventa possibile aiutare le imprese a cominciare il proprio processo di trasformazione”.

Le reazioni al conflitto: fuga o attacco?

Da sempre, il tema del conflitto si associa per natura a quello del cambiamento e della famosa resistenza al cambiamento. Generalmente porta con sé reazioni personali diverse:

  • Da un lato, ecco che troviamo coloro che per natura sono spaventati dal conflitto, lo evitano e lo nascondono perché ne hanno paura. Sono coloro, insomma, che in azienda (ma ciò si applica anche nella vita), tendono a fingere che tutto vada per il meglio, che non ci siano problemi di sorta e accumulano così in privato e nel silenzio la propria frustrazione, magari per un collega sempre in ritardo o che continua a non completare per tempo le proprie mansioni.
  • Dall’altro, ecco che troviamo invece coloro che, per natura, nel conflitto trovano il proprio palcoscenico. Sono coloro, in poche parole, che di fronte alla tensione preferiscono attaccare e far prevalere la propria posizione e che lo scontro non solo lo affrontano di petto, ma lo creano persino.

In tutte le organizzazioni è possibile individuare persone appartenenti a queste due categorie. D’altronde, non c’è nulla di più naturale: è l’istinto fight or flight, che è in grado di sopraffare ogni essere vivente (mammiferi in particolare) quando posto di fronte ad un pericolo. In entrambi i casi, il risultato sperato è lo stesso: la sopravvivenza. Le modalità sono naturalmente differenti: da un lato l’immobilità e dall’altro l’attacco diretto.

Eppure, tutti sappiamo che cedere all’ira e scatenare conflitti aziendali non è salutare per nessuno, così come non può essere considerato salutare tacere e fingere che non esistano tensioni (i problemi possono essere nascosti sotto al tappeto, ma prima o poi tutti scoppiano).

“Dunque”, si è chiesta Ilaria Magagna prima di fondare TARA Facilitazione assieme a Melania Bigi, “esiste una terza via? Un modo per vincere questi istinti naturali per fare del conflitto qualcosa di positivo, di gestibile e di arricchente per tutti?”.

Che cosa si intende per conflitto aziendale

Quello che generalmente viene definito “conflitto” è uno stato di tensione, una serie di disaccordi, a volte anche piccoli, che quando non gestiti finiscono per rovinare la serenità di un team.

Eppure, credere che il conflitto sia il male e debba perciò essere evitato a tutti i costi non può essere la soluzione. Questo perché il conflitto è inevitabile e fa parte integrante della relazione che intercorre tra persone e sistemi (se ipotizziamo di riferirci ad esempio a diversi uffici, come quello vendite e quello marketing, etc.). Se quindi evitare il conflitto è impossibile, ciò che è possibile è trovare un modo di far convivere pacificamente due punti di vista che possono anche essere diametralmente opposti.

“Ma uno degli aspetti più interessanti”, ci racconta Ilaria, “è mettere le persone nelle condizioni di capire che il conflitto non è uno scontro tra personalità in sé, è piuttosto il risultato di bisogni individuali che non vengono corrisposti o considerati. Il conflitto, insomma, nasce quando un individuo percepisce che i suoi bisogni non sono allineati a quelli dell’altro”.

Il conflitto come alleato aziendale

“Generalmente succede che all’interno di un team in azienda, la figura con responsabilità più alte impartisce gli ordini prendendosela poi con il resto del team, o con una persona in particolare, quanto l’attività richiesta non viene portata a termine nei modi e nei tempi preventivati. La conseguenza è, appunto, il conflitto”.

Ma come trasformare questo conflitto in reale alleato?

“Il conflitto in azienda diventa alleato quando ci fermiamo un secondo, respiriamo e prendiamo consapevolezza dell’esistenza, in noi, di un’emozione. Un’emozione che dobbiamo conoscere e riconoscere, ma che dobbiamo imparare a guardare come a qualcosa di distinto da noi. Nel momento stesso in cui riusciamo a guardarla, ecco che non ci guida più e possiamo prenderci del tempo per fare considerazioni che altrimenti non avremmo potuto fare. Ad esempio, è quella persona a non capire o c’è qualcosa di sbagliato nel sistema? O nella comunicazione tra di noi? Qual è la mia parte in questo conflitto? Perché la verità è che dietro ogni conflitto, ed è questo a renderlo un alleato, c’è un messaggio. Forse c’è qualcosa che non funziona nel flusso, nel processo, nella comunicazione o nel sistemare in sé”.

Insomma, non si tratta di individuare le colpe, ma di ribaltare lo sguardo e puntarlo all’interno, “ed è una delle cose più difficile da fare”, sottolinea Ilaria. Provare ad assumere il punto di vista dell’altro e cercare di riconoscere la propria percentuale di responsabilità nel conflitto è il primo passo per poter gestire in modo costruttivo la tensione. “Ma per farlo, serve ovviamente mettere da parte l’emozione, riconoscere la sua esistenza ma non farsi guidare da lei”.

Spersonalizzare il conflitto

“Quando ci occupiamo di facilitazione, portiamo nelle aziende molte piccole attività per aiutare persone e sistemi a gestire al meglio al conflitto. Una tra queste è proprio pensata per spersonalizzare il conflitto e aiutare le persone ad assumere il punto di vista dell’altro per riuscire a porsi delle domande, a volte anche scomode”.

Quali sono le mie responsabilità in questo conflitto? Che cosa posso cambiare?

Questa attività di spersonalizzazione ha un obiettivo chiaro: spostare l’attenzione dalla persona al messaggio, dal conflitto in sé al bisogno che nasconde. “Ad esempio, ci si potrebbe rendere conto che il ritardo cronico del collega non è dovuto a pigrizia ma alla necessità di portare i figli a scuola: in questo caso, è mia la responsabilità, in quanto manager, quella di non aver preso in considerazione le necessità dei miei sottoposti fissando riunioni ad orari poco pratici”.

Spersonalizzare il conflitto aziendale, insomma, significa da un lato andare oltre alla persona in sé, e dall’altro cambiare prospettiva per indagare il proprio ruolo. Si pensi all’imprenditore, che decide di chiedere ai venditori di vendere qualsiasi cosa e a chi produce di produrre ogni prodotto con massima cura. Inconsciamente, questo imprenditore ha dato vita ad un conflitto tra sistemi: chi vende non sarà disposto a rallentare, chi produce non sarà disposto a cedere sulla qualità (che potrebbe richiedere tempi maggiori). “Il punto”, conclude Ilaria, “è che spesso il conflitto non nasce nemmeno tra persone, quanto tra sistemi che vengono creati con obiettivi e scopi che per natura li porteranno al conflitto”.

Insomma, per gestire il conflitto c’è bisogno della capacità di mettere da parte le emozioni e di superare la barriera tra il “io sono fatto/a così e tu sei fatto/a così”. Soltanto affrontando la situazione con lucidità diventa possibile cogliere il messaggio che si nasconde dietro al conflitto.

Il conflitto manda sempre un messaggio al sistema”, racconta Ilaria, “e generalmente non dice mai che una persona è sbagliata, quanto che nel sistema organizzativo c’è qualcosa che non funziona come dovrebbe. La questione però è che il messaggio può essere letto e recepito solo se il conflitto è spersonalizzato e viene esplorato per quel che è: una tensione che in un modo o nell’altro racconta dell’organizzazione, dell’esperienza di vita di ognuno di noi, di processi e comunicazione”.

conflitti aziendali: due dipendenti che litigano al tavolo delle riunioni

Quindi come gestire il conflitto?

Una delle migliori strategie per gestire il conflitto è di parlarne in tempo di pace, ovvero normalizzare il conflitto in azienda. “Come parliamo di ruoli, governance, smart working e tutto il resto, dovremmo prendere l’abitudine in azienda di parlare del conflitto, perché è parte integrante del lavorare insieme”.

Trattare il conflitto come qualsiasi altro elemento organizzativo significa d’altronde prendersi il tempo necessario, in totale lucidità, per dotarsi di procedure utili a prevenire gli scontri o gestirli nel momento in cui invece si fanno inevitabili. Come abbiamo visto, infatti, nel corso dei conflitti è facile l’emozione la faccia da padrona: ecco perché pianificare in anticipo i meccanismi che il gruppo in quanto tale può mettere in atto per affrontare il conflitto significa evitare situazioni difficili. “In realtà, in molti casi non c’è nemmeno bisogno di far ricorso a figure esterne come appunto quelle dei facilitatori. La cosa più importante per le aziende è proprio mettere a terra delle procedure per poter gestire i conflitti, e seguirle quando questi emergono. Per farlo, il primo passo è normalizzare il conflitto e smetterla di considerarlo come un male da evitare a tutti i costi”.

Di strumenti, tecniche e esercizi utili a prevenire concretamente i conflitti, Ilaria e il team di TARA Facilitatori ne conoscono a bizzeffe. “Si tratta di strumenti e tecniche che possono essere introdotte in tutte le aziende, al di là delle dimensioni, con lo scopo di gestire creativamente il conflitto. Questo non significa che il conflitto non avverrà mai, questo è impossibile, ma esistono molte accortezze che potrebbero essere messe in atto sin dalla comunicazione”.

Un esempio? Imparare ad allenarsi ad utilizzare congiunzioni affermative. Questo, per perdere la fastidiosa abitudine di controbattere ai colleghi (“però io farei”, “ma secondo me”, etc.) e aggiungere invece qualcosa di più al discorso (“e anche”, “in aggiunta”, etc.). “Può sembrare una cosa banale e di poco conto”, continua Ilaria, “ma la verità è che sin dalla comunicazione possiamo impegnarci a chiarire che non si tratta di mettere un’idea contro l’altra, una persona contro l’altra. Durante gli esercizi con TARA ci siamo rese conto che nelle prime fasi, adottare queste nuove pratiche appare quasi innaturale alle persone. Eppure, con il tempo queste piccole accortezze danno origine ad un cambiamento molto più ampio per il quale vale la pena superare qualche momento di imbarazzo”.

O ancora, altra tecnica molto nota, è quella del check-in utilizzato per aprire le riunioni. Si tratta di brevi momenti che precedono l’apertura della riunione che vengono utilizzati per permettere a tutti i partecipanti di parlare di sé, di come si sentono. “Banalmente, l’obiettivo è far cadere le maschere dei lavoratori e far comparire quelle delle persone. Anche in questo caso le conseguenze sono estremamente profonde. Immagina ad esempio di sapere che il collega è particolarmente stanco e nervoso, perché il figlio di 3 anni ha passato una notte insonne a causa della febbre. Se durante la giornata quello stesso collega appare poco partecipe o addirittura risponde in modo secco ad alcune domande, è difficile prenderla sul personale, semplicemente perché le ragioni del suo stato d’animo sono note a tutti. Questi momenti di confronto umano sono trasformativi delle relazioni e quindi del lavoro, dei processi e della produttività e proprio per questo dovrebbero essere codificati e non lasciati al caso o alle chiacchiere da pausa caffè”.

E quando il conflitto arriva lo stesso?

Purtroppo, non esiste un unico modo per gestire il conflitto e, proprio per questo, non possiamo dare una risposta univoca alla domanda.

“Se il conflitto emerge in ogni caso, è evidente che il famoso messaggio che nasconde non è stato recepito e si è fatto necessario arrivare al culmine della tensione. Nessun conflitto emerge dall’oggi al domani. Lungo la via ci saranno stati moltissimi segnali, alcuni anche piccoli, che non sono stati colti. Ecco perché la prima cosa da fare, una volta scoppiato il conflitto, è prendere consapevolezza che c’è bisogno di allenare la capacità di cogliere i segnali”.

Per gestire un conflitto, la cosa migliore da fare è lasciare alle persone coinvolte il tempo necessario per respirare e calmarsi. Come abbiamo anticipato, una discussione preda dell’emozione difficilmente porterà a una risoluzione soddisfacente. Fatto ciò, si può passare alla spersonalizzazione del conflitto, magari utilizzando qualche esercizio di facilitazione visuale.

“La cosa più importante”, racconta Ilaria, “è che le persone coinvolte si siedano l’una accanto all’altra, fisicamente, e vengano messe nelle condizioni di poter esporre la propria posizione, parlando o scrivendo. L’obiettivo dev’essere quella di estrapolare il conflitto e trasformarlo nel soggetto della conversazione, permettendo a tutte le parti di vederlo per quello che è. Non sempre è facile, ma è una tecnica assolutamente da provare”.

Questo articolo è stato scritto da

Manuele CeschiaCEO di MyNet. Laureato in Economia e da sempre impegnato nel settore del marketing, della comunicazione e dell’organizzazione di eventi, si occupa dello sviluppo del progetto MyNet supportando il lavoro di tutti i team. Collabora con Università e Centri di formazione per condividere la sua esperienza professionale.

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