La trasformazione digitale: persone, tecnologie e strategie per il successo
La trasformazione digitale è un argomento centrale nel mondo contemporaneo, influenzando profondamente il modo in cui le aziende operano e competono. Per approfondire questo tema, abbiamo deciso di invitare e intervistatore durante una delle puntate del nostro HR Visionary Talk Federico Vigorelli Porro, Innovation Manager e Agile Coach di Choralia, professore di HR Innovation and Digital Culture alla 24 Ore Business School e autore di “Smart Selling”. Federico Vigorelli Porro, con la sua vasta esperienza, lavora su due principali fronti: supporto alle HR nella guida alla trasformazione delle aziende e consulenza e formazione nell’ambito commerciale. E chi meglio di lui coinvolgere per parlare di Human digital transformation?
La trasformazione digitale non passa per le tecnologie, ma per le persone.
Da diverso tempo la tecnologia ha innegabilmente acquisito un ruolo di primo piano nelle nostre vite, tanto private quanto professionali.
Tuttavia, credere che il software sia l’elemento chiave in grado di garantire il successo del progetto è errato. “La tecnologia”, racconta Federico, “è uno degli elementi, ma non può essere l’unico. Se così fosse, basterebbe infatti dotarsi di un buon software per assicurarsi matematicamente il raggiungimento degli stessi risultati. La verità è che vediamo moltissime variabili: ci sono azienda che riescono ad abbracciare la digital transformation in modo adeguato, magari persino spendendo meno di altre, che invece optano per soluzioni estremamente costose senza però ottenere i risultati attesi”.
La vera chiave di volta, insomma, pare essere quello che in letteratura viene definito il fattore umano. “Per farla breve, dobbiamo renderci conto che alla fine, spesso e volentieri, il fallimento o il successo della trasformazione digitale dipende dall’adoption più che dalla qualità del software”. Ed ecco perché il ruolo dell’HR si fa più importante che mai: pretendere infatti di coinvolgere questa preziosa funzione aziendale a metà progetto, a business blueprint avviato e a processi già disegnati, significa insomma non comprendere l’impatto della trasformazione digitale “che per definizione, se è trasformazione”, chiarisce Federico “va a ritoccare profondamente il modo in cui le persone lavorano”.
Human digital transformation: come scegliere il giusto software
“La prima domanda che ci dovremmo fare è legata ancora una volta alle persone. Dovremmo abituarci un po’ di più a fare una selezione che parta dalla consapevolezza che non serve necessariamente scegliere lo strumento appoggiandosi al provider del proprio gestionale, né tantomeno dar vita a una costellazione di soluzioni software che non comunicano tra loro”, racconta Federico.
Ciò che serve per scegliere il giusto software con il quale avviare la trasformazione digitale in azienda è principalmente analizzare con cura ciò che il software dovrebbe fare. “Se ritengo che l’unica linea guida per scegliere un LMS, un ATS o qualunque altro software, è che faccia parte della suite del mio gestionale, vuol dire che non sto valorizzando tantissimo quel processo”. Serve chiedersi, quali sono le problematiche che devono risolvere le persone tramite quel software? Qual è l’utilizzo che ne voglio fare?
“Il terzo aspetto da tenere in considerare è legato alla quantità di supporto che può essere dato a livello di formazione, di know-how, di qualità dei materiali. Per questa trasformazione la formazione è fondamentale, quindi più il software è dotato di una buona documentazione a supporto, meglio è” conclude Federico.
L’importanza di trattenere i talenti
Una delle cose più complicate per le aziende di oggi non è tanto attrarre i talenti, quanto trattenerli. E scovare l’origine di questa difficoltà non è complesso, considerando quante promesse e aspettative fatte in fase di selezione e firma del contratto vengono sciolte e disattese sin dai primi giorni sul nuovo posto di lavoro.
“Il discorso è un po’ legato a una mala concezione del marketing. Generalmente si pensa che fare marketing voglia dire raccontare il bello e a volte anche costruire e inventare dati e storie per far passare un preciso messaggio. Da questo punto di vista, è chiaro che se l’obiettivo è massimizzare il KPI delle acquisizioni, tutto ciò che può oggettivamente aumentare questo dato viene comunicato e spacciato per reale. Un gran problema, perché poi come si fa a trattenere quelle persone?”
Insomma, sarebbe necessario abbracciare una nuova prospettiva. Il marketing, in questo caso dell’employer, non dev’essere inteso come una mera pubblicità ma come marketing a 360°, ovvero come un processo che punta a costruire valore, a strutturare il prodotto e dar vita a una precisa value proposition. “La stessa value proposition che noi offriamo come employer va raccontata nel modo migliore possibile, ma deve corrispondere a una realtà che poi il candidato trova davvero in azienda”.
Che il problema possa essere in parte culturale è un dato di fatto. A lungo la cultura del posto fisso ha portato imprenditori e datori di lavoro in genere ad approcciarsi ai potenziali lavoratori come a persone dalle opportunità, di fatto, limitate. “Oggi le cose non stanno più così”, sottolinea Federico, “Il coltello dalla parte del manico ce l’ha il candidato. Se nell’arco di pochi mesi l’azienda non riesce a creare per lui o lei l’esperienza che avevo promesso, questa risorsa potrà decidere di continuare a lavorare, passando via via a una demotivazione sempre più grande, oppure optare per nuove realtà. Non a caso, i tassi di abbandono entro i primi 6 mesi sono pressocché raddoppiati in alcuni settori”.
Il ruolo dell’HR nei progetti di trasformazione digitale
Il ruolo dell’HR nei progetti di trasformazione digitale varia molto, naturalmente, ad azienda ad azienda. “Ci sono organizzazioni in cui la figura HR viene sempre coinvolta dopo le decisioni, costringendola in un certo senso a muoversi entro precisi vincoli imposti dall’alto, e altre in cui assume invece un ruolo più strategico”.
Ed è proprio questa seconda via che aiuta le imprese a implementare progetti di Human Digital Transformation davvero efficaci perché supportati da un buon programma di comunicazione interna. “Non può esserci trasformazione senza il coinvolgimento delle persone, e non può esserci coinvolgimento senza comunicazione”, spiega Federico.
Per di più, una comunicazione non necessariamente limitata all’ambito HR, anzi. Trovare degli alleati all’interno dell’organizzazione, persone che possano essere coinvolte per creare un sistema di rinforzo per fare in modo che quella specifica trasformazione diventi prassi quotidiana, è quantomai fondamentale. “Così come è fondamentale che l’HR abbia una buona conoscenza del business, per guidare il cambiamento e non esserne una vittima”, aggiunge Federico.
Come trattenere i talenti in azienda?
“Trattenere le persone è impossibile, serve dar loro delle ragioni per restare”, spiega Federico.
Il punto, insomma, sta nel comprendere fino in fondo quali siano le motivazioni intrinseche delle persone. Denaro, status, clima aziendale, possibilità di crescita e sviluppo, la dinamicità dell’ambiente…di motivazioni ce ne possono essere moltissime e diverse. Per trovare quelle che davvero possono fare la differenza serve però partire da più lontano, individuando i propri collaboratori ideali.
“Esattamente come nel marketing le buyer personas, i collaboratori ideali sono sostanzialmente quelle persone cui desideri corrispondono perfettamente a ciò che l’azienda offre. Per fare un esempio, ci sono moltissime aziende che offrono stipendi da capogiro chiedendo in cambio orari di lavoro estenuanti. Anche in questo caso, la verità è che ci saranno persone disposte ad accettare, e lo faranno felicemente, altre che non rinuncerebbero al proprio work-life balance per tutto l’oro del mondo”.
I candidati possono oggi trovare sul mercato molte offerte diversissime tra loro. È vero che alcuni meccanismi di trattenuta esistono, si pensi al classico MBA da restituire in caso di dimissioni, ma a fare la differenza sono le motivazioni che le aziende costruiscono per evitare che i propri dipendenti sognino di passare ad altre realtà.
Il ruolo della resistenza al cambiamento nella trasformazione digitale
“La resistenza al cambiamento ha due facce: da un lato, coloro che provano avversione per l’incertezza rappresentata dalla novità e temono il costo del cambiamento, dall’altro coloro che banalmente non vedono la necessità di cambiare. Il punto è che il cambiamento implica fatica”, racconta Federico.
Per affrontare la paura del cambiamento delle persone in azienda c’è bisogno di chiarire il valore alla base della novità. “E non parlo tanto del tool, dello strumento. Parlo proprio del nuovo modo di lavorare che lo strumento abilita. Ad esempio, passando al mondo delle vendite, non c’è bisogno di spiegare il valore del CRM, serve piuttosto comunicare e mettere in evidenza quelli che sono gli effettivi vantaggi di quel nuovo modo di lavorare, non in senso generico, ma considerando quel che altri hanno già ottenuto”.
Una volta messi in luce gli effettivi benefici, anche condividendo le best practice e le storie di successo, il passo successivo consiste nell’eliminazione di tutte le barriere che ostacolano il cambiamento “o, banalmente, di tutte quelle cose che creano fatica. L’obiettivo dev’essere offrire alle persone tutto il supporto di cui hanno bisogno per evitare di poter dire ‘continuo a fare come ho sempre fatto, perché cambiare è troppo difficile’”.
Come coinvolgere i dipendenti che lavorano da remoto e come disegnare l’esperienza dei collaboratori
“Per disegnare l’esperienza dei dipendenti attraverso il digitale, a me piace molto adottare l’approccio che viene chiamato the moments that matter, o momenti che contano”, spiega Federico, “Sappiamo che nel corso della vita lavorativa delle persone ci sono dei momenti chiave che hanno un impatto estremamente significativo sull’engagement delle persone. Basti pensare alla maternità o paternità di un dipendente. Ma di momenti di questo tipo ce ne sono molti altri, imprevedibili e più difficili da individuare perché magari frutto di relazioni interpersonali o altro”.
Per massimizzare l’esperienza dei dipendenti, ciò che serve è mappare questi momenti che contano. Focus group e brainstorming sono ad esempio ottime tecniche per andare a ridisegnare l’esperienza ideale. “Una volta individuati, è possibile passare a considerare gli strumenti digitali che sono in grado, proprio in quelle precise occasioni, di impattare positivamente sulla soddisfazione delle persone”.
“Per quel che riguarda invece la strategia da adottare per coinvolgere i collaboratori, anche quelli che lavorano a distanza, il tema di fondo è la costruzione di significato. È importante generare momenti di lavoro che abbiano un reale ed effettivo significato per le persone, sia puramente lavorativo che relazionale. Un consiglio? Partiamo con l’analisi di tutte le riunioni che vengono organizzate su base settimanale e passiamole al setaccio per capire quali sono funzionali e quali non lo sono”.
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